Cronaca di un Giorno Qualsiasi

di Roberto Ventura


Palinodia della regione-città
atto breve di quotidiana esistenza.


Larghetto con brio
Voce recitante: un perdigiorno residente
nel quartiere fiorentino di
Novoli non lontano dal mercato ortofrutticolo. Anche via Baracca
come appare alle ore 19 circa
di un giorno feriale
di un giorno feriale senza pioggia
nel mese di febbraio potrebbe fare al nostro caso.

Perditi nella corteccia giallo cartapesta
portati dietro il tuo autobus cartapesta che forse sosterà
ad un capolinea certamente inimitabile.
Trafitti da un raggio di roseo ciclo-bambola avvampato,
come chiodi andati a male
si combattono sul marciapiede povere pezze
di terra bruciata.
Senti l'aria che non cede mai, inclemente
come una duratura testardaggine.
O tu, figlia mia benedetta, resti pur sempre
una nuvola di calore
che, moribonda, piange inutile e dimenticata;
poi, insaziabile rondine di un paesaggio che canta e ricanta
senza veder lontano, si riveste
del suo santo buon senso da puttana,
in un vicolo nascosto svuotato d'ogni amicizia,
d'ogni fratello di pane.
Ora, solo nemici di fame.

Non sfuggire troppo, però,
io non c'ero per nobili opinioni né raggiungerò
due o tre stelle amare o una mèta carica di verità: un'azione.
Ma c'è anche la sua meta-azione che la precede
logicamente, cronologicamente. Sì, c'è,
ed è pure naturale il contrario, chissà,
ancòra la via di mezzo -la famosa via di mezzo-;
un meta-tutto per qualsiasi caos umano e non,
sarcastico, urbano, esprimibile secondo i pensieri tuoi.

C'è del ferrume accatastato al di là della ferrovia
(è una discarica di vecchie novità fin de sìecle
che puoi vedere quando passi col treno che ritorna),
sembra risvegliarsi, abbandonare per poco il consueto letargo
e muoversi verso di te per circordarti -morbosa fagocitazione-
bruciando la tua pelle schiva come lastre roventi,
un fulcro di partenza per nuove idee.
Ed in mezzo, un campo lasciato incolto -non è un pascolo.

Dalla strada vedi le tue finestre,
un bel balcone con ringhiere arancione,
il sole o la notte arida pietrificata del tredicesimo piano.
At the 13th floor abita un vecchio tipo un po' così,
come dire, che non c'è tutto.
Dice che se disgraziatamente la Luna e Urano si congiungono
con le ciminiere della fabbrica qua davanti -e lui la vede-
e se tutto accade sotto lo sguardo dell'Orsa Maggiore,
allora una forza universale e più che trasversale
ci farà salire al massimo grado di spiritualità epidermica
e con forti analogie simultanee (leggi bene: simultanee)
tutta l'umanità, sia che lavori che si ristori, sentirà
un "Ah!" tale che nessuno potrà dire -Io non c'ero-, a meno che costui
non esista né come materia né come spirito.
Ma è ormai sera.

Buon riposo o dolce caffellatte zuccherato,
cercherò di essere migliore, con te, domattina.
E mi raccomando, ricordami il francobollo per quel pacco per le Ande
-Perù, posta aerea- dove lo aspetta
una rosa pallida putrefatta da rimettere a nuovo
per il fioraio dell'angolo -un fallito, per la verità:
non ci dorme sopra da tre giorni.
Alla coppa dell'auto ci pensa il figlio Marco,
l'unico forse che si salva (ha detto che sarebbe passato verso le dieci):
-Non posso continuare -si confidò- la mia sedia preferita tre volte al giorno-,
-Va bè, -gli risposi- domani sarà tutta un'altra cosa-.

Spengo.
Dormo.
Sogno.
Tu, morbo verace delle mie illusioni.

(21-7-'88, revisionata il 5-9-'93)

Alto Tradimento #3
L'Uno, o del Molteplice!Una Nenia Distorta